I kart, il buio e il tifo per Leclerc: tutti i segreti di Sinner

«Il sonno per me è importante. Solitamente dormo nove ore per notte, con un po’ di luce, non nel buio totale. E dormo anche prima delle partite, quando mi vedete entrare in campo mi sono svegliato di solito da una quarantina di minuti. È una fortuna, altri tennisti prima dei match importanti non riescono a prendere sonno, un problema che non ho. E quando posso mi piace anche svegliarmi tardi».
Jannik Sinner si è raccontato ieri, in un incontro allo store Nike nel centro di Torino, ai ragazzini delle scuole tennis. Passioni, sacrifici, emozioni, la sua vita in campo e fuori. Un dialogo franco e diretto con i giovanissimi. Con lui, i suoi coach Simone Vagnozzi e Darren Cahill. Domande e risposte tra allegria e fascino, quello del numero uno del mondo, nel pomeriggio moderato da Lisa Offside e Federico Russo.
Jannik è solito usare il «noi» quando parla dei risultati, vittorie o sconfitte che siano. Logico allora partire dal team per raccontarsi. Una squadra solida, unita. Raccontata così: «Darren e Simone sono due allenatori che hanno tanta passione. Ci unisce la voglia di vincere, di lavorare tanto e bene. Spesso dividiamo i momenti liberi, come quando siamo andati a giocare a golf qui a Torino. Ci divertiamo, abbiamo un bel rapporto. Così ti dimentichi che sono i tuoi allenatori».
Risate e battute. Jannik, si sa, tra i bambini sta che è una meraviglia. E li ipnotizza ancora parlando del suo team e della formula per convivere anche fuori dal campo, per non pestarsi i piedi: «Il nostro rapporto si consolida quando siamo in giro per i tornei. Spesso preferiamo affittare una casa, un modo per vivere insieme le trasferte. A me piace molto così, facciamo gruppo».
A volte però la pressione gioca brutti scherzi, come è successo un paio di settimane fa a Parigi durante il match di semifinale poi vinto da Sinner contro Shelton: secondo set, Jannik si arrabbia con il proprio angolo perché non lo sostiene. Un inedito, ma con una spiegazione: «Capitano letensioni, è normale. In fondo ho solo 24 anni e succede di far fatica ad ascoltare. Poi mi rendo conto di aver sbagliato e chiedo scusa. Sbaglio tanto. Loro sono molto importanti per me. Anche quando le cose vanno bene, perché mi permettono di restare concentrato. E diciamo pure che, quando serve, sono capaci di darmi una bella svegliata».
Platea stregata, non ha problemi a raccontarsi Jan. Che ammette un lato del suo carattere difficile da immaginare abituati come siamo a vederlo glaciale durante i match: «Sono difficile, nervoso, ho bisogno del loro supporto. Che cosa mi fa arrabbiare? Perdere e incontrare persone che non sono oneste».
Parole come musica per chi le ascolta ed è una musica di gruppo. Luci ora su un divertito Vagnozzi: si parla di scaramanzia e neanche Jannik ne è esente. «Di recente - svela il coach - dopo una vittoria importante gli ho mandato lo stesso messaggio che gli avevo inviato prima del match per tre settimane di seguito, tutti i giorni». L’avreste mai detto? Scaramanzia, la password (o una delle) per accedere e accendere quel computer che sul campo è Sinner.
Già, sul campo. Perché fuori è un’altra musica: il kart, le automobili, lo sci e, l’ha detto lui, dormire. Le feste? Quelle poche possono aspettare il verdetto delle Finals: «Dopo aver vinto a Parigi sono venuto subito a Torino, un posto speciale». E siamo al che cosa sarebbe successo se (non fosse diventato un tennista): «Avrei voluto guidare una macchina di Formula Uno, ne sono ancora appassionato. Per chi tifo? Leclerc». Ma gli dei del tennis l’hanno rapito in fretta e noi siamo qui a godercelo. Gli chiedono quando ha capito di essere diventato veramente forte, lui ci pensa e poi snocciola due incroci decisivi: «La prima svolta nel 2023 quando a Pechino ho battuto Medvedev che mi aveva sconfitto sei volte di fila e poi il successo agli Australian Open, Il primo, nel 2024». Jannik in purezza per un pomeriggio che i bambini non dimenticheranno. Stamattina due ore di allenamento con Carlitos Alcaraz: lo show può cominciare.
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