Pellacani e i suoi tuffi on the road, tra la cooperativa azzurra e il college

SINGAPORE. La bambola assassina piange sopra il podio, è così che in squadra chiamano Chiara Pellacani: quando entra in gara e mette su la sua espressione beata e indifferente come se nulla la potesse toccare, però quella faccia non serve per godersi la medaglia. Alla terza in un solo Mondiale, il bronzo dai tre metri che dondolano già sulla prossima Olimpiade, commuoversi ha un senso. Pure se c’è mamma che urla dalla tribuna «Ma che te piagni».
L’esempio di TaniaÈ una storia di famiglia, ma ce ne sono tante. Qui, quella dei tuffi ha un posto speciale perché funziona come una cooperativa e porta podi con una manifattura tradizionale, talenti fatti a mano, cresciuti in un gruppo che pure senza troppe risorse e con pochissimi impianti garantisce continuità al movimento. È un miracolo e se non parlassimo di gente abituata a stare in equilibrio precario sulla punta dei piedi o magari in verticale sulla piattaforma a testa in giù, risulterebbe incomprensibile. Eppure, dieci anni dopo il bronzo di Tania Cagnotto salita su lì sopra con due cinesi, si ripete la stessa storia, identica classifica, dalla medesima altezza, con uguale numero di podi in una singola edizione: «Ero piccolissima quando si tuffava Tania. Sono arrivata in nazionale a 14 anni e qualche campionato italiano lo abbiamo condiviso, ma sono rimasta attaccata alla tv quando lei è riuscita a riscattarsi ai Giochi di Rio». L’ultima stagione di Cagnotto. Dopo, dall’estate 2017, i tuffi azzurri hanno incassato 10 medaglie, 7 con Pellacani (2 da sola, 4 in sincro). Non è una successione, è una continuità custodita dal responsabile del settore che è un’isola felice, Oscar Bertone. Lui ha il copyright di «bambola assassina» e le chiavi della piscina.
L’esperienza in UsaQuando Pellacani è partita per gli Usa, nel 2021, Bertone ha approvato. Chi non capisce che studiare lì con una borsa di studio interamente pagata per motivi sportivi è un’opportunità troppo gigante per essere messa in discussione, forse ha perso qualche puntata della storia recente della nazionale. Pellacani è la prova che la scelta non significa risolvere tutto, né allontanarsi dal sostegno tecnico legato all’Italia. Pellacani parte nel 2021, destinazione Louisiana e per un anno tutto fila liscio, poi i tecnici del college cambiano e la base attiva il sistema di controllo. Si trasferisce a Miami, dove tornerà dopo le vacanze in zona Circeo, per l’ultimo semestre di psicologia. Media del 27 per mantenere i finanziamenti e allenamenti coordinati con la società di Roma. L’estero non è una soluzione perché insegna meglio lo sport, gli Stati Uniti restano la meta per chi ha in mente studi precisi e vuole tenere l’alto livello: «Forse si poteva fare in Italia ma con molta molta molta molta più fatica, so che qualcuno riesce, purtroppo non esiste un percorso tracciato, una modalità. È in proprio».
Pellacani ha un appartamento vicino al campus e lo condivide con altre tre atlete, due americane della sua squadra di tuffi, in cui a breve entrerà anche Matteo Santoro, compagno d’oro nel sincro, più una italiana che si dedica al canottaggio: «Vita da college, l’università è privata, piccola, ci si conosce. A dicembre finisco, poi master in comunicazione». Il padre è un giornalista di La7, diversi anni fa è stato anche moviolista e nelle immagini al rallentatore che vanno sul maxischermo di Singapore si vede tutta la potenza di Pellacani, una forza che non ha la meglio sul gesto, lo esalta: «Da bimba ho scelto i tuffi per il brivido, è stata la paura a intrigarmi». Il soprannome non è casuale, le lacrime neanche. Il Mondiale è un passaggio di consegne: «Quando ho iniziato mi dicevo, se vinco la metà di Tania sono contenta». Tre medaglie in un colpo, come lei, dopo il doppio quarto posto ai Giochi, come è capitato chi l’ha preceduta. Inutile ricordare che cosa è successo dopo.
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